Dott.ssa Katrin Di Lorenzo
Psicologa – Psicoterapeuta
Spiegare la morte ai bambini: come fare?
Avete subìto un lutto in famiglia e non sapete come affrontarlo con vostro figlio? Ecco i consigli dell’esperta Purtroppo è successo: il nonno o la nonna, la mamma o il papà, in casi più gravi, la sorella o il fratello sono morti. Che sia stata una cosa improvvisa o il risultato di un lento spegnersi, il lutto vi ha giustamente lasciati nella disperazione. Ma vi è un passaggio ancora più delicato, oltre a elaborare il vostro dolore, che dovete affrontare: come comunicarlo o spiegarlo a vostro figlio? La morte è un mistero insondabile e difficile da capire persino per noi adulti; figurarsi per i più piccoli. Esiste un modo giusto per parlarne con loro? Lo abbiamo chiesto a Katrin Di Lorenzo, psicologa, psicoterapeuta con adulti, bambini e adolescenti in setting individuale e di gruppo e psicodiagnosta in età evolutiva. Ecco cosa abbiamo capito. Cosa può rappresentare un evento luttuoso per un bambino? «Per i bambini, soprattutto se sotto i 3 anni, è molto difficile comprendere l’idea della vita che termina. Un lutto può essere per loro un groviglio caotico di vissuti emotivi negativi (angoscia, dolore, tristezza…) ai quali non riescono a dare un senso. Vanno aiutati dai grandi a dare parola, manifestazione emotiva e significato a quanto sentono». I bambini vivono l’idea della morte come noi adulti? «La morte è un concetto astratto fino a che non se ne fa esperienza, di conseguenza i bambini vivono o non vivono l’idea della morte in base alle esperienze dirette o indirette che hanno di essa. Quindi, l’idea di cosa è la morte si costruisce pian piano in base alle esperienze, al contesto culturale/religioso in cui si è inseriti e in base alle credenze e ai comportamenti che la famiglia ha su questo tema». A che età i bambini cominciano ad associare alla morte sentimenti di ansia e paura? «I bambini percepiscono da subito le emozioni degli adulti, se un parente o un conoscente morirà quando loro hanno un anno, 3 o 10, percepiranno le emozioni di tristezza e dolore di chi gli sta intorno (ovviamente, si avranno manifestazioni diverse in base all’età). L’ansia e la paura aumentano se i grandi non rispondono alle loro domande o li escludono da quanto sta accadendo, convinti che “tanto è piccolo, non si accorge di nulla”». Quali sono le domande più frequenti che un bambino può fare a proposito di un lutto? «Le domande possono essere molte e diverse: dov’è andato? Perché non si sveglia? Posso morire anche io? Morire fa male?… In realtà, il problema più grande è che i bambini spesso non fanno domande e questo perché sentono molto dolore e paura intorno e percepiscono un muro, una chiusura pericolosa da “toccare”. Se fanno domande significa che sentono che “possono” e questo li aiuta a dare forma, senso e parola al groviglio di cui si parlava prima. Questo è un passaggio fondamentale per elaborare l’esperienza di lutto (anche per gli adulti). È importante rispondere ai bambini con parole semplici, comprensibili, senza alimentare angosce inutili (se chiedono se mamma o papà possono morire, non è necessario essere sinceri in questo momento), ma nei limiti del possibile, è importante dire la verità con parole adeguate, lasciando sempre che i bambini sentano la speranza che la vita continua (il nonno ora è un angelo, una stella nel cielo…). Per chi ha fede questo è più semplice, ma si possono trovare molte storie e metafore anche se si è atei. Bisogna cercare di evitare scene di disperazione, è giusto che il bambino veda mamma o papà che piangono se sono tristi, ma la disperazione non è un sentimento gestibile dai bambini. Si tenga a mente questo se si deve decidere se portare o meno il bambino al funerale». Che ripercussioni può avere sul bambino da adulto un lutto mai elaborato? «Può portare alla creazione di vissuti emotivi interni connotati da forte angoscia, al punto di doversi dissociare da questa esperienza, creando scissioni emotive gravi. Ovviamente dipende dalla gravità del lutto e dal clima di disperazione e forte angoscia che il bambino percepisce. Più questo è alto e grave, più il piccolo terrà per sé domande e paure, non riuscendo dentro a trovare da solo risposte che possano aiutarlo e calmarlo; questo può portare anche a distorsioni della realtà e proiezioni importanti. Se accadono lutti gravi (come la perdita del coniuge o di un altro figlio), è utile che i genitori chiedano aiuto per primi per elaborare quanto accaduto: nessuno è un supereroe ed è normale provare un’angoscia devastante. Bisogna che qualcuno vi aiuti a prendervi cura di voi, in modo che poi possiate aiutare gli altri intorno a voi». A prescindere dal lutto, da che età è giusto cominciare a parlare di morte con i bambini? «Non c’è una regola o una prescrizione, sono argomenti che naturalmente i bambini portano alla nostra attenzione. Le favole stesse hanno episodi legati alla morte e i bambini la mettono in scena giocando, non provando alcuna angoscia o paura, a riprova che è il vissuto emotivo che sentono dai grandi che connoterà questa esperienza come paurosa e dolorosa quando ne entreranno in contatto. Bisogna rispondere alle loro domande in modo semplice e chiaro, senza alimentare paure, è importantissimo ricordare che i bambini hanno un pensiero di tipo magico, caratterizzato da nessi logici, casuali e temporali, dissimili da quelli degli adulti: se il nonno muore perché “era malato” e la settimana dopo la mamma dice “sono malata” il piccolo potrebbe associare le due cose e pensare che anche la mamma allora potrebbe morire». Perché noi adulti siamo così reticenti a parlare di morte con i bambini? «È semplice: perché ci fa paura. Gli esseri umani hanno un dono: non pensano alla morte tutti i giorni. È un tema che spaventa e che anche quando eravamo piccoli noi, probabilmente è stato trattato come un tabù: ha a che fare con la separazione, l’abbandono, con ciò che non siamo in grado di spiegare, con il dolore, con la perdita di quanto di più caro abbiamo… Come potremmo non averne paura? Se non siamo pronti a parlarne con noi stessi, non possiamo farlo con i bambini. Se noi non sappiamo per primi tenere e gestire dentro di noi cosa provoca pensare alla morte, non possiamo aiutare il piccolo a gestire ciò che sente dentro». Veniamo al dunque: se purtroppo una persona cara non c’è più, come possiamo spiegarlo a un bambino? «Come spiegavo prima, i bambini, ancora caratterizzati dal pensiero magico, devono essere protetti e tutelati dalla possibilità che in loro prendano forma pensieri e angosce frutto di loro fantasie paurose non gestibili in modo autonomo. Quindi si dovrà parlare il più possibile con chiarezza e semplicità dando un messaggio di serenità e speranza che la vita continua. A differenza del bambino, invece, un adolescente ha tutt’altra struttura cognitiva ed emotiva, non è ancora un adulto, ma non ha più il pensiero magico. Alla sua età ha già ben compreso cosa è la morte». Immagine di apertura tratta dal film Pixar Coco. Fonte Vanity FairVuoi Stare Meglio?
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